
Giappone: spiegare tutto, spiegare sempre
Purtroppo non so spiegare il Giappone, credo non sia possibile, anche se al secondo viaggio comincio a mettere a fuoco un po’ meglio questa realtà complessa.
Le città giapponesi sono piene di scritte, disegni, cartelli che spiegano, vietano o consentono qualcosa. Spesso si utilizzano più modalità per rendere efficace lo stesso messaggio (ad esempio testo+immagine, ma anche immagini con vari stili, testi con più registri).
Una società piena di immagini e di luci, sovraccarica di istruzioni, dove i cittadini si aspettano che gli si spieghi o che li si avverta di tutto.
Cittadini trattati un po’ come bambini forse, ma dove le perdite di tempo perché non capisci come funziona qualcosa sono praticamente nulle, e anche gli incidenti sono molto ridotti. Tutto è efficienza, quando non ci sono situazioni impreviste. Ho invece avuto l’impressione che l’imprevisto sia gestito approssimativamente, all’italiana ma con meno creatività.
Parlo di ritardi sui treni, di gente che su treni troppo affollati viaggia in piedi, proprio come da noi. Succede anche lì, ma solo quando milioni di persone si muovono contemporaneamente. Il classico esodo e controesodo con treni in ritardo anche di mezzora, prima e dopo le vacanze di capodanno.
Ecco, in quei casi l’efficienza scricchiola: i tabelloni informativi non vengono aggiornati, nessuno si incarica di dare indicazioni precise. Forse nessuno vuole prendersi la responsabilità di comunicare brutte notizie?
Si fa di tutto per evitare l’imprevisto. L’estetica giapponese ama l’imperfezione, o meglio parla di quel concetto intraducibile di bellezza di una cosa imperfetta (wabi-sabi), ma un treno in ritardo o un bagno sporco non hanno questo fascino. Anche per questo i giapponesi scrivono e disegnano le istruzioni, perché tutto funzioni.
Una società piuttosto chiusa e con pochissima immigrazione ha sempre più bisogno di confrontarsi con l’altro, dal turista a chi viaggia per affari. Le abitudini sono diverse, è vero qui come in nei paesi arabi o in Finlandia, però questa tensione all’efficienza non permette approssimazione e anche i riti quotidiani vanno spiegati. Anche perché sono spesso complessi.
La mia idea di Giappone non si ferma chiaramente a questo, ma credo che questo bisogno di spiegazioni che è poi un aspettarsi le spiegazioni sia un tratto antropologicamente rilevante, da tenere in considerazione quando si parla di questo Paese o quando ci si confronta con i suoi abitanti.
Se volete leggere il Giappone da un punto di vista un po’ più manifatturiero, vi consiglio il post di Stefano.
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